E' stato pubblicato l'ultimo numero di Global Environment diretto da Gabriella Corona e Mauro Agnoletti

Editoriale di Gabriella Corona

 

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Editoriale

Gabriella Corona, editor in chief del Global Environment

Viviamo una crisi di portata mondiale. La pandemia di Covid-19 si sta rapidamente diffondendo in tutti i paesi, con una scala e una potenza inimmaginabili. L’Italia in particolare sta pagando un costo altissimo per essere stato il primo paese europeo ad essere gravemente colpito. Le regioni del nord stanno piangendo migliaia di vittime ed un sistema sanitario al collasso.

Grazie al contributo di opere straordinarie, autorevoli environmental historians – citiamo qui solo a titolo di esempio Alfred Crosby, William H.McNeill e John R. MacNeill -, hanno raccontato la lunga storia della guerra tra l’uomo e i microbi. Una storia durata millenni da cui la specie umana è uscita vittoriosa solo a partire dalla fine dell’Ottocento grazie alle scoperte della batteriologia,  ai vaccini e agli antibiotici. Si è riusciti a debellare le malattie tipiche delle società tradizionali come la peste, il colera, la malaria, la tubercolosi, la febbre gialla. Una battaglia che è proseguita nel corso di tutto il Novecento e grazie alla quale si è ridimensionata l’azione dei microbi con l’eliminazione del virus del vaiolo e l’eradicazione di quello della difterite, del morbillo, della scarlattina e di altre malattie endemiche. Tutto ciò ha contribuito in modo rilevante ad allungare la vita delle persone, migliorandone la qualità.

Ma la guerra non è stata vinta definitivamente e il rapporto tra uomini e microbi continua ad essere instabile. I virus sono mutati e stanno sfuggendo al controllo dei vaccini. Essi sono oggi sempre più il risultato di sconvolgimenti ecosistemici, di interventi aggressivi dell’uomo sui sistemi naturali. Essi sono il frutto della “Grande Accelerazione”, di quel cambio di passo avviato dall’umanità durante la seconda metà del Novecento al quale oggi il virus ha imposto una frenata, un improvviso rallentamento. Oggi l’intreccio tra questione ambientale e pandemie è strettissimo.

I cambiamenti climatici, il taglio delle foreste, la costituzione di gigantesche megalopoli, l’industrializzazione dell’agricoltura e dell’ allevamento, la riduzione della biodiversità  hanno profondamente alterato i rapporti tra la specie umana e quelle animali favorendo salti di specie per i loro patogeni come, volendo citare i più noti, nel caso dell’HIV,  dell’ebola, dell’influenza aviaria e suina, della Sars, della Mers, del Covid-19. La transizione epidemiologica che ci aveva dato l’illusione di una capacità di governo dei microbi è messa duramente in discussione.   

Ma quella del Covid-19 non è una pandemia come tutte le altre poiché è portatrice non solo di rischi sanitari, ma anche di sconvolgimenti sociali ed economici. Essa sembra davvero minare dal profondo l’intero assetto costruito nel corso degli ultimi due secoli. Il Covid-19 sta provocando una pandemia globale che si sta propagando ovunque trovando un mondo impreparato nell’organizzazione sanitaria ed economica a fronteggiare questa immane tragedia.  

Si tratta di una pandemia che non ha colpito tutti nella stessa misura ma sta “svelando” in tutta la loro portata distruttrice le profonde disuguaglianze geografiche e sociali, le vulnerabilità e le fragilità del pianeta: da coloro che perdono il lavoro e si trovano improvvisamente senza reddito alle centinaia di migliaia di persone che abitano nelle periferie delle megalopoli prive dei servizi essenziali , dal personale sanitario costretto a vivere in situazioni di gravissimo pericolo a coloro chiamati ad assicurare servizi e filiere produttive essenziali in condizioni di grave rischio. Il virus sta agendo da detonatore di problemi antichi e profondamente radicati nelle nostre società, da moltiplicatore di forme di marginalizzazione e di esclusione.  

Il virus sta rendendo visibili le drammatiche conseguenze legate al trionfo del paradigma che ha dominato da quattro decenni gran parte del mondo, fondato sul neoliberismo e sulla fiducia incrollabile nei confronti nella capacità dei mercati lasciati liberi di operare di produrre ricchezza e reddito. Ed in nome di questa folle visione sono state smantellate strutture pubbliche e politiche sociali, sono cresciuti a dismisura disuguaglianze e povertà, è stato reso sempre più precario e instabile il lavoro, sono state consumate senza riserve risorse naturali e devastate intere organizzazioni sociali.

L’environemntal history ha già dato grandi contributi allo studio delle epidemie mostrando quanto il rapporto tra uomini e microbi sia diventano sempre più conflittuale con l’accentuarsi del movimento di uomini e di merci, con l’accelerarsi degli scambi e delle connessioni tra parti diverse del mondo. Gli eventi più recenti imposti dal Covid-19 aprono grandi spazi di riflessione alla ricerca storica che può riguardare con maggiore incisività  lo studio del delicato equilibrio tra la specie umana e quelle animali,  tra le risposte economiche ai problemi della salute pubblica e l’organizzazione dei sistemi sanitari, tra la diffusione dei virus e i problemi dell’inquinamento, tra l’impatto della pandemia e il modo in cui un assetto sociale è stato concepito e costruito, tra l’interruzione delle attività produttive e i cambiamenti climatici.  Stiamo entrando in una fase storica del tutto inedita, che impone nuove categorie interpretative e un ripensamento radicale del rapporto tra natura, società ed economia. La storia è sempre storia contemporanea e le nostre domande nei confronti del passato stanno cambiando. La nostra risposta non può che essere “culturale” e contribuire ad elaborare una visione nuova del nostro modo di concepire il rapporto tra specie umana e risorse naturali che sappia tener conto di un sistema di valori quali l’interesse pubblico, la cooperazione, l’equità.  E gli storici dell’ambiente sono tra gli studiosi più attrezzati nel dare un contributo alla sua elaborazione.   

Il Global Environment diventa da quest’anno una rivista quadrimestrale e pubblica, accanto ai due fascicoli contenenti special issues, anche un terzo numero dedicato unicamente alla pubblicazione di articoli liberi, recensioni, interventi, interviste, rassegne storiografiche.  Il compito che il Global Environment si propone è quello di proseguire nel percorso intrapreso tredici anni fa. Ci impegneremo a realizzare un mezzo di comunicazione e di discussione tra studiosi provenienti da parti molto lontane - culturalmente e spazialmente - del mondo. Abbiamo bisogno di cooperazione globale e di comunicazione globale. Pensiamo che questa sia l'unica risposta possibile. Abbiamo bisogno di trasferire sul piano scientifico la grande confluenza di conoscenze che da tempo va consolidandosi come risultato della globalizzazione nelle sue varie forme. Dobbiamo lavorare per costruire una comunità scientifica più forte e sostituire la nozione di "gerarchia" con quella di "relazione" e "scambio".

Ma noi crediamo che sia giunto il momento di allargare il compito dello storico dell’ambiente, che deve oggi scavalcare confini troppo ristretti di un ambito meramente scientifico. Egli deve accentuare la sua presenza nel dibattito pubblico in tutte le sue articolazioni e nella formazione delle giovani generazioni. Ciò vuol dire rafforzare il ruolo dell’environmental history nei curricula scolastici e nei corsi universitari dove questo filone di studi storici è in grande minoranza. Ciò vuol dire oltrepassare gli egoismi nazionali per elaborare un modo di insegnare la storia in grado di abbracciare l’intero pianeta. A questo proposito abbiamo voluto inaugurare una rubrica intitolata Teaching Environmental History con la speranza di accogliere gli interventi di studiosi di paesi differenti e raccogliere le riflessioni di coloro interessati alla realizzazione di un coordinamento mondiale  per l’organizzazione dell’insegnamento dell’environmental history , dei suoi contenuti, dei suoi valori, della sua metodologia. La storia ambientale non si può limitare a trasmettere semplici “contenuti” ai giovani, ma deve trasmettere il senso profondo del loro stare al mondo, della loro condizione umana.   

La nostra risposta, per quanto piccola, non può che essere quella di rafforzare la comunicazione tra autori e docenti di paesi differenti.  Anche perché il messaggio che proviene oggi da ciò che sta accadendo in questi mesi è che solo una risposta coordinata e globale può salvarci dal soccombere definitivamente al rischio imposto dalla pandemia che non è solo sanitario ma anche soprattutto sociale.